Don Chisciotte in Sierra Morena (Zeno e Pariati), Vienna, van Ghelen, 1719

 ATTO QUINTO
 
 Giardino.
 
 SCENA PRIMA
 
 CARDENIO e LUCINDA
 
 CARDENIO
1595Qui mi chiede Fernando.
 LUCINDA
                                                 E qui tradirti
 può ancor la sua perfidia.
 CARDENIO
 Del suo inganno primier forse pentito
 vuol che in lui trovi il già perduto amico.
 LUCINDA
 Chi d’amico divenne empio rivale,
1600da l’odio a l’amistà più non ritorna.
 CARDENIO
 Non può nuocermi udirlo e può giovarmi.
 LUCINDA
 E s’ei qui a nuove trame ordisce il filo?
 CARDENIO
 Ho ferro da troncarne e stami e nodi.
 Non paventar. Seco mi lascia e parti.
 LUCINDA
1605Ch’io parta? Questo solo
 ottener non potrai da l’amor mio;
 colà mi ascondo, ad ogni evento intesa.
 CARDENIO
 Troppo hai timido il core.
 LUCINDA
 Non va senza gran tema un grande amore.
 
1610   A la siepe ombrosa e folta,
 donde l’angue uscir mirò,
 più non torna il villanello.
 
    E a quel ramo, ove una volta
 visco o laccio il minacciò,
1615più non vola il cauto augello.
 
 SCENA II
 
 CARDENIO e poi FERNANDO
 
 CARDENIO
 Povero cor, non sei ben lieto; il sento.
 Un gran bene ti manca,
 se ti manca Fernando. Eccolo. O cieli,
 rendetelo a’ miei voti.
1620Non si perde con pace un caro amico.
 FERNANDO
 Cardenio, che chiamarti
 col bel nome di amico io più non oso,
 a te del mio delitto
 la discolpa non reco o ’l pentimento.
1625Ciò che a te qui mi chiede è ’l mio gastigo.
 CARDENIO
 (Non anche intendo di quell’alma i sensi).
 FERNANDO
 Prendi ed in questo vibra
 perfido seno il punitore acciaro.
 Solo il colpo, che imploro a un’amistade
1630profanata e negletta,
 esser può mio riposo e tua vendetta.
 CARDENIO
 Fernando, prence e mio, dirollo, amico,
 che a la salda amistà, di cui mi onoro,
 diè più pena che sdegno il tuo delitto,
1635morte a me tu richiedi? A me che, in onta
 de la fede tradita,
 la mia, la mia darei per la tua vita?
 FERNANDO
 O sovra ogni altro generoso e forte,
 poiché un’alma racchiudi
1640che a la mia fa rossore,
 con atto illustre adempi
 la magnanima impresa. Altro deh! fosse
 rimedio al dolor mio! Senza Lucinda
 viver non posso. O cedila al mio amore
1645o per pietà mi uccidi.
 Arbitro di mia sorte,
 Cardenio, amico, o dammi vita o morte.
 CARDENIO
 Io cederti Lucinda?
 Io te svenar? Sì vile
1650mi stimi o sì crudele? In me pria volgi
 quel nudo ferro. Eccoti il sen. Ferisci.
 Doppo spenta la fede,
 togliti ancor dagli occhi
 un rimprovero eterno
1655del tuo misfatto. Io posso
 morire e perdonarti.
 Perdonarti non posso un voto ingiusto
 che mi renda spergiuro.
 Difenderò fino al respiro estremo
1660Lucinda e la mia fede.
 Morrò ma col suo affetto; e tu l’erede
 di Lucinda nel core
 sarai de l’odio suo, non del suo amore.
 
    Ch’io ti ceda quel bel core?
1665Per te un voto egli è d’inganno,
 per me un atto di viltà.
 
    Io di lui l’amante sono;
 ma non sono il suo tiranno;
 né piacergli il mio vil dono
1670faria in te l’infedeltà.
 
 SCENA III
 
 DOROTEA e i suddetti
 
 FERNANDO
 Qual pena, o dio!... Vieni, deh! vieni, o fida
 e del pari infelice.
 In quest’alma, ove a gara
 pugnan senso e rimorso, or tu rinforza
1675la più debole parte e la sostieni.
 DOROTEA
 Signor, piacesse al cielo
 che in me fosse il poter, com’è il desio,
 di dar pace al tuo core.
 Da questa io non lo spero
1680beltà negletta. A l’amor mio sincero
 tanto chieder non oso.
 Se il mio sangue può farlo, escami tutto
 fuor de le vene il sangue. Il fatal colpo
 opra sia del tuo braccio. Ecco a’ tuoi piedi
1685tel chiedo ultimo dono. A me sol basta
 che l’odio tuo non mi accompagni e segua
 al freddo ignobil sasso.
 Con voto più innocente
 chiuder non posso la mia vita e bacio
1690la cara destra, anzi che cada estinto
 questo infelice...
 FERNANDO
                                 Hai vinto, o cara, hai vinto.
 Eccomi tuo, se dopo
 sì gravi torti il merto, amante e sposo.
 DOROTEA
 Tua sarò in ogni stato umile ancella.
 FERNANDO
1695Come ah! potei tradire alma sì bella?
 CARDENIO
 (Da l’altrui già risorge il mio contento).
 FERNANDO
 Cardenio, al mio riposo
 sol manca il tuo perdono. È ver che offesi...
 CARDENIO
 Offese non rammenta un vero amico.
 FERNANDO
1700Ben le rammenterà la tua Lucinda.
 
 SCENA IV
 
 LUCINDA e i suddetti
 
 LUCINDA
 Signor, Lucinda vive
 con l’alma di Cardenio. Amo e disamo
 col suo voler. Le andate cose asconda
 perpetua notte di profondo obblio;
1705o ’l cor sol le rammenti,
 in quanto il ricordar gli avversi casi
 più condisce del bene i godimenti.
 FERNANDO, DOROTEA A DUE
 
                       del tuo bel
    Con la fé                       core,
                       di questo
 
 deh! perdona
                            sì, perdono
 
       quest’
1710di              alma a l’incostanza.
      quell’
 
                                   tuo
    La fermezza del          amore,
                                  mio
 
 che maggior fa in me il
                                            rossore,
 che ha piacer del tuo
 
         mia                  mia
 sia           calma e           speranza.
        tua                   tua
 
 SCENA V
 
 DON CHISCIOTTE, LOPE e SANCIO, che porta lo scudo e la lancia del suo padrone, e i suddetti
 
 DON CHISCIOTTE
 Quando, regina, quando
1715verrà Pandafilando? In aspettarlo
 io perdo il tempo e ne patisce il mondo.
 DOROTEA
 Ridi, o Lucinda; or son regina. Ammiro (A don Chisciotte)
 l’impazienza e ’l zelo
 del mio sostenitor. Verrà ben tosto
1720al suo gastigo il traditore iniquo.
 CARDENIO
 Quanto udirete è un innocente inganno (A Fernando ed a Lucinda)
 per risanar lo stolto.
 FERNANDO
 Dorotea ben si adatta al preso impegno. (A Lucinda)
 LUCINDA
 Facile è tutto al suo vivace ingegno. (A Fernando)
 FERNANDO
1725Ma donde sì opportuni
 gli strani abbigliamenti ebbe la bella?
 CARDENIO
 Da Mendo che sovente
 gli ospiti suoi con varie feste onora.
 DON CHISCIOTTE
 Verrà ma ancor non vien. Quel suo Astarotte
1730forse l’ha spaventato. (A Dorotea)
 LOPE
 Vedi, vedi, ecco genti.
 CARDENIO
 Del gigante fellon questi è un araldo.
 DON CHISCIOTTE
 A tempo ei vien. Già sento
 de l’eroica mia bile il moto e ’l caldo.
 
 SCENA VI
 
 RIGO da satiro, con altri due che portano un cartello, una mazza ed un corno da caccia, e i suddetti
 
 RIGO
1735Ditemi, chi di voi è il cavaliere
 de la trista figura?
 DON CHISCIOTTE
                                     Io. Non mi vedi?
 RIGO
 È ver. Te, suo nemico,
 tratta così Pandafilando il crudo. (Rigo attacca il cartello, la mazza ed il corno)
 DON CHISCIOTTE
 Manda il cartello? (A Rigo) Egli è costume antico. (A Dorotea)
 RIGO
1740Leggi; e saprai ch’ei non ti stima un fico.
 SANCIO
 Temerario. (Sancio vuol percuotere Rigo ma è fermato da don Chisciotte)
 DON CHISCIOTTE
                         No, ferma. In sua difesa
 la ragion de le genti hanno gli araldi.
 CARDENIO
 Leggi, leggi il cartello.
 DON CHISCIOTTE
 «Errante cavalier». Sa il suo dovere. (A Dorotea)
1745«Se tu da solo a solo (Don Chisciotte legge il cartello)
 osi d’aver Pandafilando a fronte,
 afferra questa mazza e ’l corno suona».
 DOROTEA
 Questa è solita frase e usato stile
 de la cavalleria. (A don Chisciotte)
 DON CHISCIOTTE
1750Va ben. Finiam. «Tosto ei verrà e da lui (Don Chisciotte torna a leggere)
 gastigata vedrai la tua pazzia».
 Pazzia? Questo non è né stil né frase
 da cavalier. L’offender con parole
 mostra braccio impossente e cor plebeo.
 FERNANDO
1755Vile è questo gigante. (A don Chisciotte)
 DON CHISCIOTTE
 Tutti sono così. Ma l’arrogante
 ben presto umilierò.
 LUCINDA
                                        Lo credo anch’io.
 DOROTEA
 L’unica mia speranza è la tua fama. (A don Chisciotte)
 DON CHISCIOTTE
 Regina, ecco in tuo pro la mazza afferro. (Don Chisciotte prende la mazza)
1760Mora Pandafilando; e viva e regni
 vendicata da me Micomicona.
 DOROTEA
 Viva con lei del tuo valor la gloria.
 SANCIO
 Avrem tu la vittoria, esso la morte,
 la regina il suo regno, io ’l mio governo.
1765Suona, suona, signore; e suona forte.
 DON CHISCIOTTE
 Or di quella che infonde a me il valore, (Don Chisciotte prende il corno)
 de la mia Dulcinea
 il dolce nome invoco; e suono il corno. (Don Chisciotte suona il corno)
 TUTTI
 De la maggior ventura è questo il giorno.
 DOROTEA
 
1770   Don Chisciotte è vincitor
 anche prima di pugnar.
 
 TUTTI
 
    Don Chisciotte è vincitor
 anche prima di pugnar.
 
 DOROTEA
 
    Di un sicuro trionfar
1775è gran pegno il suo valor.
 
 TUTTI
 
    Anche prima di pugnar
 don Chisciotte è vincitor.
 
 DON CHISCIOTTE
 Ma non veggo il gigante.
 FERNANDO
 Si replichi l’invito.
 DON CHISCIOTTE
1780Facciasi. Ancor non vien? Saria mai sordo? (Don Chisciotte suona)
 DOROTEA
 Se mal non mi ricordo, in questi casi
 tutti i più scelti autori
 scrivon che l’uso è di sonar tre volte.
 DON CHISCIOTTE
 Gran donna! Hai ben ragion. La terza è questa. (Don Chisciotte suona)
 LOPE
1785Ecco Pandafilando.
 DON CHISCIOTTE
 Sancio, prendi. Egli ancora è senza brando. (Don Chisciotte dà la spada a Sancio, vedendo venir Ordogno)
 
 SCENA VII
 
 ORDOGNO armato stranamente, con seguito de’ suoi, uno de’ quali ne porta lo scudo, e i suddetti
 
 ORDOGNO
 Eccomi. Ov’è l’ardito
 che vuol meco pugnar da corpo a corpo?
 DON CHISCIOTTE
 Sei tu Pandafilando?
 ORDOGNO
1790Quegl’io son per chiarirti.
 DON CHISCIOTTE
 E don Chisciotte io son per ammazzarti;
 e qui pubblicamente ora ti sfido.
 ORDOGNO
 Pronto io sono; ma pria
 fermar convien di nostra pugna i patti.
 DON CHISCIOTTE
1795I miei son che, abbattuto,
 a lei tu renda il regno. (Accennando a Dorotea) Indi tu vada
 a Dulcinea che del Toboso è il giglio;
 a quella per mio cenno e da me vinto
 ti mostri e ti confessi; e in atto umile
1800le baci, non la man, ma il piè gentile.
 ORDOGNO
 A tutto adempirò, se fia ch’io cada.
 DON CHISCIOTTE
 Oh! Cadrà, vel prometto. (Agli altri)
 ORDOGNO
 Or ecco i miei. Se vincitore io fia,
 tu la legge da me prender dovrai.
1805Prometti di ciò far?
 DON CHISCIOTTE
                                       Perché tu scopra
 com’io m’impegni, ascolta. Io don Chisciotte,
 da errante cavalier, prometto ut sopra.
 SANCIO
 Or via. (Governator Sancio già parmi).
 TUTTI
 Al cimento, al cimento, a l’armi, a l’armi.
 DON CHISCIOTTE
1810No. Manca del cimento
 il rito più solenne. Alta regina, (Don Chisciotte s’inginocchia a’ piedi di Dorotea)
 per te l’armi già stringo;
 ma di tuo cavalier pria mi concedi
 il titolo ed il fregio. A le tue piante
1815questo imploro; e perdona
 se vantar non poss’io quel di tuo amante.
 LUCINDA
 (Rider convien). Giusto è ’l suo voto, o bella.
 DOROTEA
 Sorgi. È nostra sciagura
 il non averti amante. È nostra gloria
1820l’averti cavalier. Tal ti accettiamo.
 E questo ne sia il fregio. (Dorotea gli mette al collo una sciarpa)
 DON CHISCIOTTE
                                                Altro non bramo.
 Lo bacierei ma Dulcinea non vuole. (A Dorotea)
 ORDOGNO
 A me lo scudo. (Ordogno prende da’ suoi lo scudo)
 DON CHISCIOTTE
                               A me pur, Sancio, il mio. (Don Chisciotte lo prende da Sancio)
 ORDOGNO
 Su, vieni. Io già ti aspetto.
 ORDOGNO
1825(Or tempo è, Dulcinea, di rinforzarmi).
 TUTTI
 Al cimento, al cimento, a l’armi, a l’armi. (Suonano le trombe e siegue il combattimento, nel quale resta perditore don Chisciotte)
 ORDOGNO
 Vinto sei. Tal mi cedi o qui t’uccido.
 DON CHISCIOTTE
 Vinto io son?
 FERNANDO
                           Don Chisciotte, è ver. Sei vinto.
 DON CHISCIOTTE
 (Questo degl’incantesmi è il laberinto).
1830Tale mi rendo. (O impresa a me funesta!)
 ORDOGNO
 Di me, tuo vincitor, la legge è questa.
 
    Pronto e presto al patrio tetto
 rieda il vinto e un anno intero
 prigioniero
1835là rimanga e confinato.
 
    E finch’egli stia ristretto,
 più non legga un romanziero
 né mai più si vegga armato.
 
 DON CHISCIOTTE
 I libri miei legger non posso? Un anno
1840senz’armi e confinato? Andar degg’io,
 perché il giurai.
 SANCIO
                                (Signor governo, addio).
 LUCINDA
 Che piacevole idea! (A Fernando)
 FERNANDO
                                        Mi tragge al riso. (A Lucinda)
 DON CHISCIOTTE
 Ah! Voi ridete! Il cielo (A Fernando ed a Lucinda)
 potria punirvi e lo farà. Regina...
 DOROTEA
1845Mio cavaliere... O dio!
 Siamo entrambo infelici.
 DON CHISCIOTTE
 E ridendo mel dici?
 DOROTEA
                                       Alma reale
 serba ancor ne’ disastri il suo sereno.
 DON CHISCIOTTE
 Non so che dir. Ch’io sia già vinto, il veggo;
1850ma intenderlo non so. Sol creder posso
 o che incantato io sono o che tu stessa
 dei forse aver qualche gran colpa adosso.
 ORDOGNO
 Traggasi altrove il vinto. (I seguaci di Ordogno vanno intorno a don Chisciotte)
 DON CHISCIOTTE
 Un anno in casa a un cavaliere errante?
1855Un anno in casa? Andiam. Sorte assassina!
 Maledetta l’impresa ed il gigante. (Parte don Chisciotte con li seguaci di Ordogno)
 
 SCENA VIII
 
 DOROTEA, LUCINDA, FERNANDO, CARDENIO, ORDOGNO, LOPE, SANCIO, RIGO e poi MENDO e MARITORNE
 
 RIGO
 Ad urti, a calci, a pugni anch’io ti sfido. (A Sancio)
 SANCIO
 No no, sol con la spada io mi cimento.
 (D’andar prigione anch’io non ho bisogno).
 ORDOGNO
1860Abbiam l’intento. (Ordogno si scuopre)
 LOPE
                                    E v’ha gran parte Ordogno.
 SANCIO
 Ordogno era il gigante? O che magia!
 ORDOGNO
 Maggior n’ha Dorotea.
 DOROTEA
 De l’opra mia frutto vi renda il cielo.
 SANCIO
 Ora intendo la festa.
1865Gl’incanti e le magie son ne la testa.
 FERNANDO
 Ma perché quella pugna? (A Lope)
 LOPE
 Per trar, mercé la fede
 che geloso egli osserva, ancorché folle,
 l’amico al suo soggiorno e risanarlo.
 FERNANDO
1870Lodo tanta amistà. Mendo, che brami? (Venendo venir Mendo)
 MENDO
 Signor, son risarciti
 tutti i miei danni; e a tua bontà ciò deggio.
 LOPE
 Bella, Cardenio, in guiderdon di quanto
 opraste già, lieti vi faccia il cielo.
 DOROTEA
1875Di Fernando l’amor fa la mia sorte.
 CARDENIO
 Di Lucinda la fede è il mio contento.
 FERNANDO
 E l’amor di Fernando in questa destra
 con la fede di sposo a te si rende.
 LUCINDA
 E la fé di Lucinda a te si mostra
1880in questa man ch’è testimon del core. (Si porgono le destre)
 A QUATTRO
 Trionfa con la fede oggi l’amore.
 RIGO
 Mendo, fra tante gioie a me concedi
 Maritorne in isposa.
 MENDO
 Facciasi.
 MARITORNE, RIGO
                   O me felice!
 MARITORNE
1885Vedi? So ch’or vorresti; (A Sancio)
 ma del nostro imeneo già fatto è ’l groppo.
 SANCIO
 Io n’ho abbastanza d’una e ancor di troppo.
 
 SCENA ULTIMA
 
 DON CHISCIOTTE, portato in una gabbia da’ seguaci di Ordogno, e i suddetti
 
 DON CHISCIOTTE
 Strano destin! Di quante
 rare avventure o buone o ree provai
1890dal dì che professai cavalleria,
 io ne lessi sui libri esempi uguali;
 ma di questa nol trovo; e son sicuro
 che veduto mai più, mai più non s’abbia
 errante cavalier dentro una gabbia.
 
1895   Qui voltar mi posso appena.
 Stravagante è la mia pena;
 e non so qual sia il mio fallo.
 
    Ingabbiato son dal fato;
 ma pazienza, o sorte rea.
1900Io sarò di Dulcinea
 cavaliere e pappagallo.
 
 (Ma che? Quest’avventura è più famosa
 perch’è più stravagante). A che mi guardi, (Ordogno si accosta alla gabbia)
 gigantaccio malvagio? (Ad Ordogno)
 ORDOGNO
                                            Eh! Lascia, amico,
1905queste tue frenesie. Me ben ravvisa;
 non son Pandafilando, Ordogno io sono.
 DON CHISCIOTTE
 T’intendo, o scellerato;
 tu di avermi incantato ora ti penti
 e vorresti placarmi. Attendi, attendi
1910che passi il giorno estremo
 di mia fatal prigion, poi ci vedremo.
 E tu, Micomico...
 DOROTEA
                                  Non son più quella.
 Io sono Dorotea, sposa a Fernando.
 DON CHISCIOTTE
 Fai bene. Or che disperi il patrio regno,
1915di regina tu ascondi il grado e ’l nome.
 Passerà l’anno. Spera.
 Di vendicarti ho già pensato al modo.
 FERNANDO
 Eh! Questa è Dorotea, la sposa mia.
 DON CHISCIOTTE
 Ella è Micomicona; e s’è tua sposa,
1920il vostro matrimonio è una magia.
 DOROTEA
 Vanne tu, Lope.
 DON CHISCIOTTE
                                O caro Lope, vieni.
 A me porgi la man. Vedi or gl’incanti?
 Conosci le magie? Credi il castello?
 LOPE
 Non mi parlar d’incanti. Ordogno è quegli
1925tanto quant’io son Lope; e solo è stato...
 DON CHISCIOTTE
 Vanne, vanne, meschin; sei fatturato.
 Ma voi perché ridete, empi scudieri? (A Cardenio e a Rigo)
 CARDENIO
 Non più, qual mi credesti,
 son lo scudier di lei; Cardenio i’ sono.
 RIGO
1930Io ’l barbier che, in vendetta
 del bacino a me tolto,
 ti lasciai dal balcone in aria appeso.
 MARITORNE
 Io la donzella afflitta,
 a cui per compassion la man porgesti.
 DON CHISCIOTTE
1935Tutti incanti son questi.
 Quel di Mambrin fu l’elmo,
 non un bacino. Un satiro tu sei, (A Rigo)
 non un barbier. Tu un perfido scudiere (A Cardenio)
 che la regina sua,
1940caduta in povertà, lascia e rinega.
 Tu l’afflitta donzella esser non puoi; (A Maritorne)
 e se quella esser vuoi, sei una strega.
 Ma Sancio non favella?
 SANCIO
 Tu vuoi ch’io parli? Ascolta,
1945il gigante, l’impresa, la regina
 e tutto il resto in sol tuo pro si finse.
 Non vidi grippogrippo,
 non andai al Toboso
 né diedi il foglio a la tua dea villana.
 DON CHISCIOTTE
1950O bestemmia profana! O stelle! O fati!
 Voi siete tutti pazzi e deliranti
 o siete, giuro al ciel, tutti incantati.
 DOROTEA
 A la Mancia, a la Mancia; o pace o tregua
 colà faran con lui le sue pazzie.
 DON CHISCIOTTE
1955O regina... Pazzie? Talpe voi siete
 al chiarissimo sole
 de la cavalleria. Le imprese mie,
 che voi dite pazzie, sono e saranno
 d’invidia e di stupore oggetto al mondo.
1960E del gran don Chisciotte, uguali a quelle
 che degli altri miei pari il mondo onora,
 un dì se ne faran famose istorie.
 TUTTI
 E un dì se ne faran commedie ancora.
 CORO
 
    Don Chisciotte che si vede
1965non è il solo che vi sia.
 
    V’è più d’un che non sel crede
 ma può fargli compagnia
 
    e più d’un che lo precede,
 perch’egli ha maggior pazzia.
 
 Segue il ballo de’ servi dell’albergo immascherati in diverse guise.
 
 Il fine